07/09/2019

Lo sguardo naturale di
Margarethe von Trotta

di Kabir Yusuf Abukar 

Margarethe von Trotta ha tenuto alla Villa degli Autori la masterclass nella quale è stato possibile ripercorrere le tappe della sua filmografia e scoprire aneddoti della sua biografia. Dopo aver ricevuto il Premio per l'Inclusione Edipo Re alla Carriera, insieme a Silvia JopRiccardo Biadene e Giorgio Gosetti, ha avuto modo di raccontare se stessa e i film che hanno contraddistinto il suo modo di guardare mondo attraverso il cinema.

«La collaborazione con Isola Edipo - ha detto Giorgio Gosetti - continua nel segno di un sodalizio astrale che ci vede uniti in un viaggio dalla Laguna, il cui spazio è solitamente dedicato al meriggio, fino al mare del Lido qui alle Giornate, dove l'alba primeggia». «In tutto questo c'è qualcosa di simbolico - ha ravvisato Margarethe von Trotta -, la mia "alba" è stata proprio al Lido quando vinsi il Leone d'Oro con Anni di piombo nel 1981, ora torno con un'altra età ed è forse la fase del tramonto».

«La mia storia professionale e personale è tutt'altro che scontata - ha continuato von Trotta -. Fin dall'infanzia credevo di non avere un particolare talento artistico; nonostante mio padre fosse un pittore, non dimostravo grandi capacità. Fu a Parigi che nacque la mia passione per il cinema, negli anni della Nouvelle Vague: è lì che ho iniziato a recitare per Rainer Werner Fassbinder. Sono stata apolide per molto tempo: la mia famiglia ha origini russe, si trasferì in Europa dopo la caduta dello zar e i miei genitori diventarono dei sans papier. È col matrimonio con Volker Schlöndorff che acquisii la cittadinanza tedesca e mossi i primi passi nella regia cinematografica, anche se la folgorazione vera che mi convinse a diventare regista, fu Il settimo sigillo di Ingmar Bergman».

Il regista svedese è stato forse la figura più influente nella sua attività artistica. Anche lui ha realizzato molti film in cui il femminile ricopre una posizione centrale: «Era capace di una rara empatia con le donne che cercava di mettere in scena nei ruoli che conferiva loro, ma il suo restava comunque uno sguardo maschile. Magari lo sguardo di un uomo che capisce una donna, ma la stessa cosa la potrei fare io: capisco e posso guardare attraverso lo sguardo di un uomo, ma il mio modo di fare cinema non potrà mai tradursi in uno sguardo maschile».

«Margarethe riesce nella difficile impresa di raccontare le donne e il loro sguardo in un modo mai ideologico, mai retorico - ha detto Silvia Jop -, che le permette ancora oggi di distinguersi nettamente per capacità e sensibilità».

«Il cinema che cerco di fare non è femminista per presa di posizione. Molte delle figure femminili che ho diretto mi sono state proposte da produttori - ha precisato von Trotta - e prima di decidere se accettare o meno, ho sempre valutato, cercato di capire se sentivo un certo tipo di affinità con loro. Come per il film Rosa Luxemburg, non l'ho deciso io, ma Fassbinder. Il produttore mi disse: "Questo film devi farlo tu perché eri sua amica e perché sei una donna". Ciò che sapevo di Rosa Luxemburg erano solo le informazioni politiche, e sarebbe stato estremamente difficile basarsi solo su questo, perciò in prima battuta mi rifiutai di realizzare il film. Solo successivamente mi misi a leggere della sua vita privata e mi avvicinai alla sua storia. Non è nemmeno questione di sguardo femminile e sguardo maschile, mi sono sempre impegnata nell'ottica di una naturalezza dello sguardo, a prescindere dal genere delle protagoniste dei miei film».

«Quando mi chiesero di fare il film Hannah Arendt - ha concluso von Trotta -, in prima battuta rimasi dubbiosa: Come faccio a fare un film su una donna che pensa? Non sapevo che momento della sua vita era meglio privilegiare. Fin da subito però capimmo che non volevamo fare un biopic, allora decidemmo per i quattro anni del processo Eichmann, uno incapace di pensare. Ciò che mi affascinava e che volevo risaltasse della storia di Hannah fu la solitudine e la tristezza che la attraversava, ciò ha fatto sì che scendessi ancor più in profondità nella sua vita».