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05/09/2012
L'ascolto e l'attesa
In carcere, con i detenuti, nelle loro celle. È dove viene trasportato lo spettatore del nuovo film documentario di Vincenzo Marra, Il gemello. Dopo lo stadio, il tribunale di Napoli e l'ex sito industriale di Bagnoli, il regista napoletano prosegue così la sua indagine sui luoghi della sua città. Stavolta è entrato con la sua macchina da presa nel carcere circondariale di Secondigliano (Napoli) e nell'arco di un anno e mezzo ha captato la vita che vi si respira, i gesti quotidiani, i discorsi, i più intimi pensieri dei carcerati. Uno in particolare: Raffaele Costagliola, detto "il gemello", ventinove anni di cui dodici anni già scontati per reati legati alla camorra. Raffaele non è un detenuto qualsiasi: è carismatico e rispettato, lavora alla raccolta differenziata dei rifiuti e mantiene la sua famiglia d'origine.
 
Raffaele ha un solo obiettivo: uscire il prima possibile. «Se mi mancano sei anni, ne voglio fare quattro», dice. Conduce così una vita da detenuto modello. Lo seguiamo nel suo lavoro, mentre sistema la sua cella, mentre si prepara da mangiare. Va d'accordo con tutti, evita ogni conflitto. Ma soprattutto lo seguiamo nei suoi colloqui con l'ispettore Domenico Manzi detto "Niko", capo delle guardie carcerarie che parla con i detenuti, cerca di conoscerli, di aiutarli. Con lui, si crea un rapporto di fiducia e di confronto costruttivo. A Raffaele, l'ispettore Niko suggerisce di leggere Siddharta, per imparare l'ascolto e l'attesa. Raffaele gli racconta di suo cugino, morto ammazzato, perché oggi ci si uccide anche tra piccoli spacciatori.
 
«Questo film era un'occasione per mostrare che cosa facciamo in carcere», sottolinea Manzi , «durante le udienze cerco di conoscere le persone che ho di fronte. Grazie all'ascolto, si sono ridotti del 70-80% gli atti di autolesionismo, perché i detenuti non si sentono abbandonati».
 
Lo sguardo di Marra segue questi incontri con discrezione: «La macchina era evidente, non dico di essere andato lì con la telecamera nascosta», chiarisce, «ma si era creato un rapporto di fiducia talmente grande che tutti si sentivano a proprio agio». Un documentario girato come un film di finzione: «Nessuna voce off, poca musica, nessun personaggio che sta seduto e parla davanti all'obiettivo. Volevo filmare la vita, ma con una drammaturgia».
 
E la vita ribolle negli occhi di Raffaele: «Voglio girare un altro film», ha scritto in un messaggio letto da Marra durante la presentazione della pellicola a Venezia, «ricordati di me, io sono forte e so aspettare». «Mi sono sempre chiesto se un film possa cambiare la vita», ha commentato il regista, «dalla voglia che Raffaele ha di dire e di camminare, credo proprio di sì».

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