Sembra che i veri 'ultimi' - almeno al cinema - siano loro, i vecchi. Dimenticati, abbandonati, umiliati, inutili. Lo ha sussurrato dolorosamente Michael Haneke a Cannes con
Amour, e ora alle Giornate degli Autori lo ripete
Amir Manor, regista israeliano all'esordio nel lungometraggio con
Epilogue storia d'amore e di rassegnazione senile, ma anche squarcio su un paese diventato indifferente.
Assoluti protagonisti sullo schermo sono Yosef Carmon (Berl) e Rivka Gur (Hayuta), due monumenti del cinema e del teatro israeliano che hanno lavorato insieme moltissime volte e che in Epilogue trasportano la chimica che li unisce per tratteggiare "l'ultimo giorno". Quello dei piccoli gesti che seguono un'umiliante visita - non richiesta - dei servizi sociali: sono costretti a spogliarsi, rispondere a domande stupide, dimostrare che sono in grado di camminare. Perciò subito dopo si riappropriano della loro vita e fanno ciò che piace loro: lei va al cinema a vedere Indiana Jones, lui aggiusta oggetti in casa e telefona alla radio per difendere e rivendicare la sua visione del mondo socialista.
«Hanno quasi ottanta anni, hanno costruito questo paese, ma nessuno si occupa di loro - denuncia il regista -. Non c'è più alcun tipo di fiducia o solidarietà». A diciotto anni membro del movimento giovanile socialista, Amir Manor ha voluto mettere nella sua opera prima due temi: «Il declino del mio paese, che in breve tempo si è trasformato in una democrazia che dell'Occidente ha preso solo il capitalismo e ha perso la sua identità, e la vicenda molto umana e personale di una coppia di anziani in una società indifferente».
Epilogue è stato mostrato per la prima volta, in luglio, al Jerusalem Film Festival, facendo meritare al protagonista maschile il premio per il miglior attore, e presto approderà al Bfi di Londra. «Nel mio film Berl e Hauyta fanno delle cose normalissime, piccole e grandi, nel corso di un solo giorno per dire addio al mondo. Un mondo in cui se non sei produttivo economicamente diventi inutile».
Epilogue è una piccola storia che si fa grande anche grazie alla scelta degli straordinari interpreti. «Nella faccia di Yosef Carmon si legge la storia del Paese», dice il regista, che ha scelto anche la protagonista femminile senza provino, «perché li trovo umilianti. L'avevo già scelta e le avevo chiesto se aveva problemi con una scena di nudo: si è immediatamente alzata la maglietta rimanendo a seno nudo».
È facile tornare con il pensiero, guardando il film, a Umberto D., da cui Manor ammette di essere stato influenzato: «Da adolescente ho letteralmente ingoiato film italiani a palate in cineteca: Fellini, Pasolini, De Sica. Tra gli americani invece i miei preferiti sono Van Sant, Hitchcock e Nolan».