29/08/2013
Fuga da La belle vie
Qual è la bella vita per un adolescente? Vivere immerso nella natura, accontentarsi dello stretto necessario, senza schiavi né padroni? Oppure la bella vita è quella che deve ancora venire, guidare una macchina, le uscite con gli amici, il primo amore? Se lo chiede Jean Denizot nel suo intenso film d'esordio La belle vie.
Sylvain e Pierre, 16 e 18 anni, sembrano felici. Corrono nei campi, ridono, si tuffano nudi nelle cascate, non vanno a scuola. Sono liberi. Ma è una libertà apparente, perché in verità si nascondono, da oltre dieci anni. Il padre, Yves, li ha rapiti quando avevano 5 e 7 anni, dopo che la madre aveva ottenuto la loro custodia. Da allora vivono con lui in clandestinità, sulle montagne, sotto falso nome, come nomadi. Sembrano felici, e non lo sono. O almeno Pierre, il più grande, non lo è più. Quando la polizia si mette sulle loro tracce, scappa. La "bella vita" gli sta stretta, la solitudine lo soffoca.
Liberamente ispirato a un fatto di cronaca che tenne la Francia con il fiato sospeso (il caso Fortin), Denizot racconta l'ultima disperata fuga di Yves con Pierre, il figlio che sceglie di rimanere con lui. Almeno fino a quando non incontra Gilda e si innamora. Gilda, che ha il viso da bambina e la voce profonda di Solène Rigot (già vista in 17 ragazze), fa intravedere a Sylvain la possibilità di una vita diversa. Costretta anche lei a una maturità precoce (suo padre ha problemi d'alcol e tocca a lei svuotargli le bottiglie nel lavandino), Gilda e Sylvain vivono insieme i momenti di spensieratezza che la loro età impone, i bagni al fiume, le corse in bicicletta. Ma la clandestinità ha le sue regole: per vivere una vita normale, bisogna uscire allo scoperto.
La belle vie, nel raccontare una vicenda incredibile (come si fa a sparire per dieci anni, sequestrati dal proprio genitore, lontani dalla madre, e condividere persino questa scelta?) racconta anche uno struggente passaggio alla vita adulta. "Essere sequestrati dal proprio padre rappresenta allo stesso tempo un incubo e una fusione totale con il suo modello", commenta Denizot. E gli insegnamenti di questo padre sono tutti improntati su una grande etica ("non ci servono soldi", "né schiavi, né padroni"). "Quando sentii per la prima volta in radio i veri protagonisti di questa vicenda, rimasi stupito da quanto questi ragazzi fossero intelligenti e colti, pur non essendo mai andati a scuola", ricorda il regista.
"In tribunale, ti difenderemo", dice Sylvain al padre, mentre se ne va. E a quest'uomo, dolce e posato, sembra bastare questo: aver fatto il suo dovere, aver cresciuto i propri figli con sani principi. E averli avuti accanto, per tanti anni, al costo di tenerli in una prigione, seppur dorata.
[Vittoria Scarpa, Cineuropa.org]