03/09/2013
La mia classe
Il prof Mastandrea
tra verità e finzione
Ci si entra immediatamente ne La mia classe. Si parte con la prova microfoni, i protagonisti si presentano. C'è chi arriva dal Bangladesh, chi dall'Ucraina, e poi Turchia, Brasile, Iran… Sono seduti ai banchi, chiedono che cosa devono fare, qualcuno è emozionato. Poi arriva Valerio Mastandrea e via: ciak, si gira. All'inizio ci si chiede: ma che sta succedendo? Perché i macchinisti erano in scena? Perché lo stesso Daniele Gaglianone, regista del film, era inquadrato mentre dava indicazioni? Il fatto è che La mia classe è un oggetto strano, un esperimento insolito, nato come film di finzione. Ma durante la sua lavorazione la realtà ha talmente preso il sopravvento che il regista ha deciso di mostrarla, e di svelare il trucco.
Valerio Mastandrea è un professore d'italiano in una scuola serale per studenti extracomunitari. La sua classe è composta da persone di tutte le età e provenienti da ogni parte del mondo. L'unico attore è lui, gli altri interpretano se stessi. Vogliono imparare l'italiano per integrarsi, ma anche per avere il permesso di soggiorno. Ognuno porta in classe il proprio mondo. Fotografie e prodotti tipici della loro terra, ma anche racconti di vita, le rivolte in piazza, i conflitti familiari, il lavoro sottopagato, le difficoltà dell'integrazione. Ogni lezione ruota attorno a un tema, che diventa spunto per un viaggio tra visioni differenti: ci si confronta sulla paura e il coraggio, su diritti e doveri, la casa, le tradizioni, si studiano i testi delle canzoni italiane.
Ma quando durante le riprese uno degli studenti, dalla Costa d'Avorio, rischia di essere espulso perché privo del permesso di soggiorno, il giocattolo si rompe. Che fare? Continuare con la lavorazione del film o mandare tutto all'aria? "Stavamo per raccontare delle vicende che erano uno sviluppo ipotetico della condizione di alcuni studenti", racconta il regista, "e improvvisamente ciò che era solo un'idea di sceneggiatura diveniva un fatto reale che stava accadendo qui e ora".
È lì che la realtà irrompe nella finzione, con tutta la troupe del film, e la pellicola comincia a viaggiare su due livelli: quello in cui Mastandrea interpreta il professore e quello in cui si esibisce il fatto che si sta girando un film. "Questi due livelli si intrecciano fino a diventare inscindibili", continua Gaglianone, "l'obiettivo è che lo spettatore smetta di chiedersi che cosa sta vedendo, un documentario, un film di finzione, un docufiction, un backstage, semplicemente perché tutte queste categorie non hanno più senso in questo contesto".
Ma non solo di espediente tecnico e narrativo qui si tratta. L'allegria del set cede il passo alla riflessione morale, in ballo c'è la vita di una persona. "Se mi rimandano nel mio paese, io mi faccio morto da solo", dice Issa nel suo italiano ancora stentato. La mia classe doveva essere un film di finzione, diventa invece un'occasione di confronto sui temi dell'integrazione, pulsante e autentica, in cui si pongono molte domande, ma nessuna risposta è possibile.
[Vittoria Scarpa, Cineuropa.org]