Drammi e criticità del percorso dei giovani nel cinema italiano. Le difficoltà nel giungere alla consapevolezza che, forse, non è solo questione di fortuna. Un articolo di Agata Giulia Ventura

«Non chiamateci giovani», l’incontro moderato da Boris Sollazzo ieri in Sala Laguna, ha avuto come protagonisti Re Salvador, Francesca Zonta, Ciro De Caro, Valerio Mieli, Lorenzo Fiuzzi, Carolina Pavone. Un confronto curato dal collettivo under 35 trasversale 100 autori e WGI, organizzato con Anac e con il sostegno di SIAE, che ha visto le varie voci presenti dibattere sulle problematicità dell’industria cinematografica italiana e sulle difficoltà dei giovani a legittimare il proprio talento e conquistare la libertà creativa. Come si accede a un sistema fragile e comunque impenetrabile? Un sistema, peraltro, che tende a rendere sinonimi termini come gioventù e incompetenza. «Non riuscivo a fare un film, non mi davano credito», ha rivelato il regista Ciro De Caro, regista del film in concorso alle GdA, Taxi Monamour.

«Ci siamo chiesti quale potesse essere il metodo per iniziare a fare questo lavoro. Abbiamo creato il collettivo GRAMS nel Natale 2016. La narrativa prevedeva che noi fossimo senza soldi, senza contatti e senza parenti nell’industria», ha raccontato lo sceneggiatore Re Salvador, sottolineando l’importanza di una rete. Dalle sue parole, è emerso il valore della collettività nel perseguire strade alternative per raggiungere l’obiettivo di intraprendere la professione, e su questo concetto hanno concordano tutti gli ospiti.

«Fare politica con le nostre istanze, incontrarci e capire quali fossero i problemi, ci ha uniti molto e ci ha dato l’impressione di non essere soli»; la sceneggiatrice Francesca Zonta ha sottolineato così l’importanza dei collettivi e, perciò, dell’unione con i colleghi. Fondare una rete attraverso le conoscenze che nascono sin dalle Accademie, rappresenta una delle chiavi per superare gli ostacoli posti dall’industria. «Una delle grandi difficoltà da affrontare, e che contemporaneamente rappresenta anche una necessità, è quella di costruirsi una rete di supporto composta da persone che vogliono fare il tuo stesso lavoro e con cui instaurare un rapporto di fiducia». Dalle parole della regista Carolina Pavone (qui alle Giornate con l’opera prima, Quasi a casa), si può comprendere quanto sia importante costruire una rete con persone con le quali condividere gli obiettivi.

Un elemento ricorrente nell’incontro è stato l’uso distorto della parola «fortuna» che, inteso in un certo modo, può indurre a delegittimare la fatica, la competenza e il talento di professionisti che per la prima volta hanno portato a buon fine un progetto. «Non è solo fortuna!», ha ripetuto Boris Sollazzo quasi a motivare gli ospiti del confronto.

Non esiste la ricetta universale per la creazione del film perfetto, della storia che funziona. È fondamentale che il produttore «voglia bene al film» e che non nutra come principale, e unico, desiderio quello di vendere. La necessità è di creare delle partnership prima, anziché dopo, ha suggerito il produttore Lorenzo Fiuzzi.

Si è sottolineata, inoltre, l’importanza di lasciare i giovani autori liberi di sperimentare e di fare errori, evitando il rischio o di essere esclusi dall’industria o di ripercorrere strade già battute. «Sembra che ogni volta si debba ricominciare da zero», ha commentato amaramente Francesca Zonta.

Tra i drammi dei giovani autori vi è la difficoltà nel realizzare l’opera seconda a seguito di un buon esordio: «Il mio secondo film, per quanto diverso, è stato più sperimentale, ma se non avessi diretto una storia d’amore, forse non sarei riuscito a realizzarlo. Nel primo film tutto sommato ho goduto di una certa libertà, considerando i limiti di budget e di tempo a disposizione. Con il secondo, credevo di potermi permettere di fare qualcosa di più originale mentre per il primo, probabilmente, avrei fatto qualsiasi cosa pur di esordire», ha confessato Valerio Mieli.

Gli interventi del pubblico hanno rimarcato, tra i tanti temi, la precarietà del mestiere e lo sfruttamento del lavoro creativo degli under 35. La mancanza di fondi genera un problema di classe: favoriscono coloro che provengono da contesti privilegiati. Per questo è essenziale rompere il sistema, formulare nuove regole, dare vita a gruppi sodali e, soprattutto, possedere una coscienza politica. È vitale, dunque, lottare tutti assieme.